UN FITTO INTRECCIO DI VITE


Tessitura. Nei testi agronomici è la proprietà fisica del terreno determinata dalla
percentuale dei diversi calibri delle sue particelle, ma questa parola fa pensare
anche all’intreccio dei sentimenti e delle convinzioni che guidano i nostri passi e ai
legami che caratterizzano ogni storia familiare.

Nella storia che vogliamo raccontarvi, la terra fa da ordito alla trama dei legami affettivi

È la vicenda di un uomo che si è dedicato alla conduzione di un’azienda vitivinicola nel pistoiese e alla produzione di vino nel Chianti, di sua figlia che, dal colle di Tizzana, dove si trovava la vigna paterna, gettava lo sguardo verso Colle di Carmignano, incontrando gli occhi di colui he le avrebbe chiesto di sposarlo.

È la storia di loro figlio che, durante le passeggiate tra i filari con suo padre e suo fratello, osservava i nonni, lasciandosi incantare dai loro gesti e dal profumo del vino e del legno delle botti che hanno finito per legarlo per sempre alla terra senza, tuttavia, impedirgli di sognare l’infinito.

Alberto, infatti, studia fino a diventare ingegnere aerospaziale ma negli orizzonti così ampi della sua ricerca c’è ancora posto per quel mondo fatto di gesti arcaici, sempre uguali nel tempo, e profumi inebrianti, gonfi di ricordi.

È incredibile quanto la memoria possa diventare concreta, quando decidiamo di farne il telaio dei nostri disegni, e quanta solidità questi possano assumere se le persone che amiamo li abbracciano insieme a noi.

Radici lontane ed un vissuto diverso da quello di Alberto non impediscono a sua moglie Olympia di condividere con lui un progetto di vita che prende forma sotto gli occhi di loro figlia Stella Alkyoni.


Le Stadère


L’immagine della stadèra racchiude il senso di questa impresa.

Agli etruschi, autori della domesticazione delle viti selvatiche locali e dell’introduzione della vinificazione in questo
territorio, come testimoniano i resti di impianti di vigne e le vasche per la pigiatura rinvenuti nel vicino sito
archeologico di Ghiaccioforte, si deve anche l’invenzione di queste antiche ma rivoluzionarie bilance.

La famiglia Parrini ne conserva un antico esemplare, tramandato di generazione in generazione fin dai tempi di Pietro, che visse nel XVIII secolo. Chissà quante volte ha danzato nell’aria densa di profumi della campagna settembrina, quanti riti del raccolto ha officiato, come un arcaico sacerdote.

La sfera di bronzo che scorreva lungo il braccio metallico, decretando il peso delle uve raccolte, racchiude il senso dell’ingegno e della caparbietà dell’uomo nell’ottenere dalla natura i frutti del suo lavoro, mentre il piatto che oscilla in attesa del verdetto è un simbolo dell’imprevedibilità dei risultati dell’impegno totalizzante di chi si dedica alla terra.

Padroneggiare tecniche e
conoscenze, infatti, non sempre
basta a raggiungere i propri
obiettivi.

Le variabili naturali e in parte aleatorie che governano la produzione del vino, dai vigneti alla cantina, non possono essere sempre controbilanciate dalla competenza e dall’impegno. È ancora una volta l’antico strumento che la famiglia Parrini ha scelto come egida per questo progetto, a suggerire la via.

Le stadère, fino a pochi anni fa erano condotte nei vigneti in occasione della vendemmia e la pesa avveniva sullo stesso suolo che aveva fornito alle viti il nutrimento necessario per dare alla luce quei frutti. È la continuità con la natura, dunque, la capacità di ascoltarla e lasciarsi guidare, la chiave del successo in campo enologico.